Cemento, menzogne e in-sostenibilità. Queste sono le parole chiave che sintetizzano la storia del Parco Bassini. Ma dove comincia, questa storia?
Comincia con un progetto iniziale ben preciso: quello di costruire i nuovi edifici del dipartimento di chimica al posto del CESNEF, l’edificio di ingegneria nucleare appena adiacente al Parco Bassini. E perché, proprio il CESNEF? Perché un accordo – l’Intesa Stato-Regioni – consente l’avvio di procedure operative e burocratiche per determinati progetti, compreso quello di smantellamento del CESNEF e di bonifica dell’area. E il Politecnico, sfruttando un’intesa che bypassa le leggi comunali, sceglie quest’area come sito dove far nascere i nuovi e tanto agognati edifici di Chimica. Ma c’è un però: all’interno del CESNEF sono presenti alcuni metri cubi di scorie radioattive (all’incirca 4) a medio-bassa attività. Scorie che sono il residuo di attività nucleari sperimentali, terminate nel 1979 con lo spegnimento e parziale smantellamento del piccolo reattore del CESNEF. Ma a livello nazionale latita una normativa che indichi dove stoccarle, ed il Politecnico si rende quindi conto che i tempi di smantellamento dell’edificio sono ignoti (si parla di un decennio come minimo) e a posteriori del trasferimento di queste scorie. L’urgenza di costruire il nuovo dipartimento di Chimica è tanta, così il Politecnico vira con decisione su un’area verde appena adiacente al CESNEF, come nuovo sito dove edificare: il Parco Bassini, appunto. Ma ogni progetto con impatti ambientali necessita una compensazione, e quella richiesta per la distruzione di un parco non è indifferente. Così, si decide di realizzare un giardino compensativo su quello che appunto è il CESNEF, inglobandone lo smantellamento all’interno del nuovo progetto per poter continuare a usufruire dell’Intesa Stato-Regioni.
Il Politecnico, quindi, mente: da un lato costruisce sul Parco Bassini perchè non sa quanto ci metterà a smantellare il CESNEF; dall’altro, invece, annuncia in grande stile che il giardino compensativo sarà pronto in poco tempo! Che poi, quali compensazioni? Tagliare 57 alberi secolari per piantumarne più di 200, piccoli e stretti in un giardino molto più piccolo, come proposto inizialmente? Oppure, come proposto alla Commissione Ambiente in Comune del 6 dicembre, spostare 22 alberi di quei 57, con costi alti e tasso di sopravvivenza degli alberi molto basso? Nessuna di queste compensazioni è stata mai accettata dal Comitato per il Parco Bassini, nessuna lo sarà mai, perchè il valore ecologico o sociale di un parco non è semplicemente ‘trasferibile’. Specie se a posteriori di anni e anni alla distruzione del parco, come ormai è accaduto. E specie se proposte da un ateneo come il Politecnico e da un Comune come quello di Milano: rispettivamente, l’università internazionale all’avanguardia – anche per la sostenibilità – e il Comune della prima grande città italiana ad aver dichiarato l’Emergenza Climatica e Ambientale, ormai 8 mesi fa. Nessuna compensazione o riparazione del danno è accettabile in stato di Emergenza: i beni comuni e naturali vanno difesi, valorizzati e potenziati, non compensati.
E a dirlo, non sono attivisti fanatici, fondamentalisti o polemici, come tante volte ci è stato detto in questi giorni e mesi. A dirlo sono docenti autorevoli del Politecnico stesso, che prima vengono lustrati e incensati come orgoglio politecnico su ricerca e didattica. Poi, vengono denigrati, insultati e addirittura minacciati di ripercussioni per aver alzato la propria voce (prima autorevole, ora fastidiosa) a denuncia di un autentico delitto ecologico. A dirlo, sono studenti che quella sostenibilità imparata e studiata bene a lezione la vedono tradita dallo stesso Ateneo che la insegna. A dirlo sono studenti venuti a conoscenza del progetto a soli 2 giorni dall’inizio dei lavori, e con un metodo spartano: una bella recinzione attorno al parco.
Studenti men che meno mai coinvolti, quindi, nel processo decisionale.
Studenti messi a tacere – assieme al resto del Comitato, e dopo mesi di strenua resistenza in presidio – da un’operazione di polizia senza precedenti e avallata dal Rettore: 100 uomini in borghese o in tenuta antisommossa, 10 camionette, un’intero isolato blindato all’alba del 2 gennaio. Sì, perché oltre che intimidatorio e istituzionalmente violento, è stato un atto codardo: studenti fuorisede erano tornati a casa, docenti e residenti in meritata vacanza dopo due mesi di presidio permanente. Il Politecnico, invece, subito pronto ad approfittare della situazione – in tacito accordo con il Comune di Milano – ha soppresso con la forza il gruppo di attivisti del Comitato che lì si trovava, impotente di fronte al taglio dei primi 35 alberi. Ma la protesta non si arResta: da difendere c’è ancora il suolo, ancora più prezioso perchè vergine, mai edificato, da un progetto di cementificazione selvaggia e di massa che non riguarda solo il Parco Bassini, ma tante altre aree verdi di Milano: Baiamonti, Ciclamini, Piazza d’Armi, la Goccia, tutte nel mirino dell’amministrazione comunale.
Gli studenti di Città Studi chiedono che il Politecnico di Milano venga gestito per quello che è: un’università pubblica, non un’azienda o un’impresa da gestire in modo manageriale seguendo le regole del profitto e di altri interessi. Di interessi che non siano esclusivamente quelli del rispetto dei beni comuni, della valorizzazione e difesa dei beni naturali, della vivibilità d’Ateneo per chi quegli spazi li vive davvero: gli studenti.
Gli studenti chiedono anche che la sostenibilità sia reale, completa, e non sono a parole o di facciata. Perchè in faccia, per adesso, rimane solamente lo sporco del più efferato dei greenwashing: quello di chi dichiara la stato di Emergenza Climatica e Ambientale, salvo poi cementificare ogni area verde gli capiti sotto tiro; quello di chi si autoproclama il meglio sulla piazza – come Università all’avanguardia sulla sostenibilità – salvo poi non riuscire ad applicarla – letteralmente – nemmeno nel giardino di casa propria. Il greenwashing del sindaco Giuseppe Sala, dell’assessore Pierfrancesco Maran e del Rettore Ferruccio Resta.