1° maggio per una giusta transizione

Illustrazione di copertina di @Lorenzo Ci

Estratto dell’intervento della Presidente Federica Ceragioli in occasione del 1°maggio in piazza virtuale di Radio Onda d’Urto.

Questa è un’epoca complessa: in nome della giustizia sociale abbiamo tante battaglie di fronte a noi. Battaglie inserite in un contesto di emergenza climatica ed ambientale: climatica a causa del vertiginoso aumento della temperatura, che destabilizza il ciclo idrologico a scala globale e ha impatti locali devastanti per interi ecosistemi e comunità; ambientale per via della contaminazione dell’acqua e del suolo causata dall’improprio utilizzo delle risorse naturali e non. 

La sfida globale attuale è quella di rimanere sotto un aumento di temperatura media di 2°C rispetto all’era pre-industriale, per evitare che le condizioni climatiche si aggravino a tal punto da renderle insopportabili per i nostri sistemi antropici: significa azzerare le emissioni di tutti i gas climalteranti – CO2 in primis – entro il 2050. 

Tutto ciò necessita di una vera e propria rivoluzione, di una piena transizione ecologica, che cambi velocemente il nostro modo di produrre di energia, il trasporto e la mobilità, interi settori produttivi e persino la nostra dieta.

Dobbiamo creare comunità molto più autosufficienti da un punto di vista energetico ed alimentare. Comunità più salutari per le persone e anche più democratiche e partecipate, grazie alla creazione di strutture solidali. 

E’ evidente, questa transizione ecologica impatterà irrimediabilmente il mondo del lavoro. E anzi, dovrebbe e dovrà essere spinta e favorita proprio da esso. 

C’è bisogno di spostare lavoro e capitale umano da settori inquinanti (estrazione combustibili fossili, industria della moda e della plastica, solo per citarne alcuni) a settori necessari e sostenibili, come le energie rinnovabili e l’agricoltura biologica.

L’estrattivismo fossile, infatti, provoca danni alla salute ad ogni livello sociale o temporale: lavoratori, abitanti e future generazioni. Nell’immediato con l’inquinamento di suolo, falde acquifere e corsi d’acqua, tramite l’attività stessa di estrazione. Nel lungo (ma già presente) periodo con gli effetti  del riscaldamento globale.

Casi del genere li troviamo anche a casa nostra, come quello riguardante lo scandalo ENI, al Cova in Basilicata. 

Il settore agricolo, invece, occupa il solo 5% dei lavoratori in Italia. Un numero che può sembrare contenuto, ma che in un contesto di crisi basta da solo a mandare in crisi un sistema intero. 

Il mercato agricolo attuale, infatti, porta con sé una serie di problemi.

In primis, l’importazione da altri paesi di una grande fetta del cibo che viene consumato, che é legata a stretto filo ad una forma di nuovo colonialismo chiamata land grabbing, vale a dire la svendita delle terre a paesi o compagnie estere, unita alla privatizzazione di terre abitate e utilizzate da popolazioni rurali. E questa diventa semplice e immediata causa di migrazioni. 

E oltre a ingiustizie di tipo sociale, ve sono di ecologiche: l’80% della deforestazione mondiale serve a ottenere terreno da utilizzare per la produzione di foraggio o per il pascolo del bestiame. Per questo, prima, si parlava della necessità di cambiare la dieta riducendo la carne e ricorrendo a prodotti km 0: non è solo una questione etica, ma anche e soprattutto ambientale.

Infine, il mercato agricolo è affetto da un’estesa precarietà dei lavoratori: basti pensare al settore del latte, pagato alla fonte il 10% rispetto al prezzo di vendita. Ma questo è un meccanismo che ritroviamo su tutti i prodotti della grande distribuzione. 

Il primo passo per avere comunità autodeterminate, resilienti e resistenti a scenari simili a quello attuale, è quindi la sovranità alimentare: ossia la possibilità di decidere cosa coltivare, come farlo, e a quali mercati indirizzare i prodotti. Esempi di comunità solidali e auto-organizzate non mancano: i Gruppi di Acquisto Solidale stanno diventando una realtà sempre più concreta, anche nelle grandi città.

Tra autodeterminazione e transizione ecologica, una cosa é certa: anche se molte imprese dovranno cambiare la loro produzione, la transizione non deve essere pagata dai lavoratori. Allo stesso modo, l’energia deve essere accessibile, oltre che rinnovabile.

La transizione non sarà soltanto giusta, ma anche ricca di nuove opportunità: il CMCC (Centro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) ha pubblicato uno studio dove afferma che la transizione energetica porterà un’occupazione di più persone nel settore rinnovabile rispetto ai posti di lavoro persi per la chiusura di attività di estrazione. 

Le prospettive per il futuro sono chiare: spingere le imprese alla riconversione  tutelando e stabilizzando tutti i lavoratori, precari e migranti; garantire salari dignitosi; e primo e fondamentale passo, fermare le attività di estrazione dei combustibili fossili. 

Grazie, e buon Primo Maggio a tutte e tutti!

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